Savona. L’Olanda “totale” di Cruijff nei fantastici anni Settanta fece capire al mondo intero che il calcio moderno doveva in larga misura prescindere dai ruoli tradizionali. Difensori che attaccavano, attaccanti che retrocedevano per difendere ed impostare ed anche un portiere che, all’occorrenza, sapeva uscire dai pali nelle vesti di libero aggiunto. Un’innovazione futuristica che aveva portato all’Ajax (vincitore di ben 3 edizioni consecutive della Coppa dei Campioni) il tecnico rumeno Stefan Kovács, uno studioso di calcio che fece le fortune dell’Olanda calcistica.
Nel calcio (e in diversi altri sport) si identifica con il moderno termine di “jolly” un giocatore che per la propria polivalenza tattica è capace di giocare in più ruoli. Il jolly è un calciatore duttile, adattabile in varie zone del campo. Ad esempio Jovetic che può fare sia il centrocampista laterale, sia la seconda punta, sia il trequartista o Zuniga che gioca sia sulla fascia sinistra che su quella destra o Hummels che si può utilizzare sia da difensore centrale che da mediano. Ed è attraverso questa premessa che ci apprestiamo a presentare il primo ed inimitabile grande jolly della soria del calcio italiano. Vi stiamo parlando di Piero Magni.
Nato a Robbiate (Varese) il 20 marzo 1919 cominciò la sua carriera nel ruolo di mezzala nella squadra del capoluogo lombardo che in allora militava in Serie C, per poi diventare in breve tempo all’età di vent’anni uno dei più promettenti attaccanti italiani. Se lo accaparrò il Liguria nell’estate del 1940, proprio quando il nostro paese veniva trascinato nella seconda guerra mondiale. La compagine genovese, che militava nella serie cadetta, alla fine della stagione 1940/41 otteneva la promozione alla serie A. Il campionato 1941/42 si aprì, per la compagine genovese neopromossa, con una trasferta a Torino contro i granata. Sul campo di via Filadelfia, il 16 ottobre 1941, Magni cominciò la sua (allora inconscia) scalata al record indossando la maglia numero 8.
L’esordio nella massima divisione non fu fortunato per il ragazzo varesino. Non solo perché il Liguria venne sconfitto per 3-2, ma anche perché, al 23° minuto della ripresa, Piero dovette abbandonare il campo, vittima di un infortunio. Per tutta la stagione l’aspirante superjolly rimase fedele al ruolo di interno destro, tranne la solita eccezione che conferma la regola e che gli permise di compiere il secondo passo verso il raggiungimento del primato. Alla ventunesima giornata, il 22 marzo 1942, in occasione dell’incontro casalingo con il Modena venne schierato centravanti. Ed in quella partita (vinta per 2-1) Magni riuscì a mettere a segno il primo ed unico goal di quel campionato. Lo incassò Sentimenti IV° che difendeva, in quella stagione, la porta della compagine emiliana e che, con Piero, doveva ritrovarsi l’anno dopo sotto la stessa bandiera juventina. Fece appena in tempo ad essere acquistato dalla Juventus, che arrivò la guerra ad interrompere l’attività. Alla ripresa, nel campionato 1942/43 rivestì la maglia bianconera e diventò una colonna della squadra torinese.
Fu, appunto, all’undicesima giornata del campionato che Magni si trovò a disputare a causa di un disguido una partita di campionato nell’inusitato (per lui) ruolo di portiere. E narrano le cronache, riuscì a cavarsela non male, subendo solo una rete. Come andò esattamente ce lo racconta lo stesso Sentimenti IV: «In quell’anno io ero militare a Modena, in artiglieria. Eravamo in piena guerra e, di tanto in tanto, per esigenze di carattere bellico restavamo consegnati in caserma, senza ottenere il sospirato permesso per potere, la domenica, adempiere ai nostri obblighi di calciatori. Il 13 dicembre 1942 il calendario assegnava alla Juventus la trasferta di Trieste. Io ero abituato a raggiungere i compagni direttamente dalla caserma di Modena senza passare per Torino, anche perché le autorità militari il via me lo davano nel tempo strettamente utile per prendere un treno e recarmi nella città dove doveva giocare la Juventus. Quella settimana, però, proprio quando ero già in procinto di partire per Trieste vennero sospesi i permessi. Non mi restò che spedire un telegramma per avvertire la società. Se non che, il dispaccio alla sede juventina venne recapitato quando la partita era già stata giocata. Mentre “Cochi” dormiva fra due guanciali, convinto che la Juventus fosse ricorsa per la sua sostituzione a Peruchetti, la comitiva bianconera partiva per Trieste senza portiere, altrettanto convinta di trovarmi puntuale all’appuntamento nella città giuliana. Fu così che, a causa del disservizio postale, la Juventus dovette presentare a “Valmaura” un portiere improvvisato. Appunto Piero Magni che non se la cavò neppure tanto male. La partita si concluse in parità. Per i bianconeri segnò Sentimenti III°; Tosolini pareggiò, battendo l’insolito guardiano juventino».
La domenica successiva (20 dicembre 1942) nella partita casalinga con il Genoa, vinta per 3-2, da portiere Magni passava all’ala sinistra giungendo a quota 4 in fatto di posti occupati. Con la maglia numero 11 proseguì il campionato compiendo comunque un paio di eccezioni. Quanto bastava, tuttavia, per debuttare il 7 marzo 1943 (Juventus – Bari 5-0) con il numero 10. Quando la guerra finì riprese l’attività calcistica su scala nazionale e Piero Magni consolidò la sua fama di uomo dovunque. Nel 1946/47, ruotando in sei ruoli diversi, indossò per la prima volta altre 3 nuove maglie. Quella numero 4, il 28 ottobre 1945, alla terza giornata a Torino contro il Modena (1-0); quella numero 7, alla quinta il 18 novembre a “San Siro” contro l’Inter (2-2); quella numero 2, alla ventiseiesima il 14 aprile 1946 a Vicenza (2-1). Nel 1947/48 il nostro passò ancora attraverso una mezza dozzina di ruoli, di cui due erano per lui ancora vergini.
Nell’undicesima giornata (8 dicembre 1947: Bologna – Juventus 0-0) venne impiegato mediano sinistro; nella ventiquattresima (16 marzo 1948: Torino – Juventus 1-0) occupò il posto di terzino sinistro. La sua peculiarità è l’intelligenza tattica, che gli permette di candidarsi ad ogni ruolo della squadra e sempre con immutabile efficacia. Terzino, mediano, ala, interno, attaccante, dove il tecnico lo spedisce lui gioca.
Nella lunga storia della Juventus Piero Magni pur senza raggiungere la notorietà di tanti altri affermati campioni è stato senza dubbio un significativo protagonista in quanto ha rappresentato un caso emblematico, in materia di duttilità, per aver indossato 10 maglie su 11 : un ruolino di marcia assolutamente atipico soprattutto quando si pensa che nel periodo in questione, al contrario di quanto accade oggi, il numero portato sulla schiena contrassegnava, con precisione, il ruolo ricoperto. Come detto, erano infatti ormai 10 i ruoli che Magni era riuscito ad occupare. Ne restava uno solo, quello di centromediano.
Piero dovette aspettare quasi tre anni prima di completare l’inseguimento alla maglia numero 5, quella che gli avrebbe permesso di fregiarsi del titolo di “super jolly”: una soddisfazione che non ottenne però nella Juventus, perchè il suo straordinario record, undici ruoli su undici, lo portò a ricoprire l’unico ruolo mancante, quello di centromediano, una volta ceduto ad un’altra società. Nel 1948/49, passato alla Lucchese, pur continuando ad essere utilizzato in ogni reparto, gli toccò di restare a bocca asciutta. L’anno successivo, però, venne trasferito al Genoa che nel posto proibito aveva un fior di giocatore, Cattani, che non saltava mai una partita. Una volta che tra i grifoni venne a mancare Cattani, fu proprio Magni a chiudere la falla creatasi al centro della difesa e ancora una volta con discreto rendimento.
Alla ventisettesima giornata, infatti il n.5 titolare dovette dare forfait e Magni riuscì, finalmente, ad indossare quella famosa maglia che ancora mancava alla sua collezione. A Torino in via Filadelfia aveva cominciato la scalata al primato, a Torino allo stadio “Comunale” doveva concluderla proprio contro la Juventus, che ai rossoblu inflisse una severa lezione: 6-1! L’avversario diretto di Magni, quel giorno, era Giampiero Boniperti che, però, riuscì a segnare soltanto quando Piero, dopo il terzo goal, aveva cambiato posto dando l’incarico di controllare l’ex presidente bianconero a Castelli. Dopo due stagioni in Liguria, continuò a giocare a Lecce dal 1951 al 1953 in C dove ricoprì il ruolo di giocatore-allenatore, prima di venire esonerato e passare al Martina Franca come allenatore. Passò quindi al Cesena : anche qui nella duplice veste di allenatore e giocatore.
Dalla Romagna ritornò nel 1954 al Varese (la sua prima squadra) nella sola veste di calciatore, ove chiuse la carriera agonistica. Nel 1958 si sedette sulla panchina della Pro Patria in Serie C, e nel campionato successivo riportò i tigrotti nella serie cadetta con una squadra formata da quasi tutti giocatori bustocchi o dei dintorni. Nel 60-61 si piazzò al settimo posto con la stessa rosa trascinata dalle reti di Enrico Muzzio. Nel 61-62, sempre alla guida dei tigrotti sfiorò di pochissimo il clamoroso ritorno in Serie A, sempre con lo stesso gruppo di giocatori delle annate precedenti. Negli anni successivi continuò ad allenare diverse squadre: tra le altre, Bari, Salernitana e la sua amatissima Varese.