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Calcio, lo speciale Settore Giovanile del ct Vaniglia. La Biancoscudati Padova alla riconquista del prestigio perduto

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Savona. Uno dei più importanti poli calcistici del Veneto è rappresentato dal Padovano. Alla metà di luglio 2014 ci siamo trovati a transitarvi e lì abbiamo potuto raccogliere informazioni relative ad uno dei vivai storici della nostra penisola. Prima di affrontare i temi che più ci interessano ci è parso doveroso ricapitolare gli ultimi tormentati eventi che hanno portato alle cronache il “caso Padova”.

Per l’ex Calcio Padova 1910 la stagione 2013-14 era infatti iniziata con la vendita del club da parte di Marcello Cestaro a Diego Penocchio, proprietario del gruppo Ormis. Il nuovo presidente conferiva subito un nuovo assetto alla società nominando Andrea Valentini come amministratore delegato, Alessio Sacco come direttore sportivo (ex direttore sportivo di Juventus e Modena) e Dario Marcolin come allenatore. Dopo un avvio di campionato in cui avevano collezionato un solo punto in sei partite, il 28 settembre l’allenatore Marcolin, il suo vice Annoni e il preparatore dei portieri Petrelli, vengono sollevati dall’incarico. Al loro posto subentra Bortolo Mutti con il suo staff.

Il 29 dicembre, il Padova chiude il girone di andata terzultimo con quattro vittorie, sei pareggi, dieci sconfitte, 16 gol segnati e 27 subiti all’attivo.Il 2014 si apre con la cessione del restante 52% del pacchetto azionario a Penocchio, che diventa così proprietario unico della S.p.A. biancoscudata. Il 2 febbraio, dopo aver collezionato un solo punto nelle ultime cinque partite, l’allenatore Mutti, il suo vice Di Cicco, il preparatore dei portieri Piacentini, e il preparatore atletico Scotti, vengono sollevati dall’incarico. Al loro posto subentra Michele Serenacon il suo staff. Il 25 maggio la sconfitta per 2-0 a Siena sancisce, con una giornata di anticipo, la matematica retrocessione del Padova in Lega Pro, dopo cinque consecutivi campionati in Serie B. La stagione 2014-2015 del Padova si apre con la presentazione della domanda di iscrizione al campionato di Lega Pro, incompleta.

Il 15 luglio 2014 a causa della mancata presentazione del ricorso alla Covisoc, il Padova non viene iscritto al campionato di Lega Pro. Successivamente la proprietà comunica in un primo momento che il Calcio Padova proseguirà l’attività sportiva concentrandosi sul settore giovanile e in un secondo momento che la squadra ha ufficialmente e formalmente richiesto l’ammissione al campionato di Serie D.

Nei giorni successivi la domanda non viene accolta in seguito alle indicazione ricevute dalla Figc da parte del sindaco di Padova Massimo Bitonci su quale debba essere la squadra autorizzata a chiedere l’ammissione in Interregionale. A seguito dell’esclusione del Calcio Padova dai campionati nazionali, nell’estate del 2014 viene iscritta, per dare continuità sportiva al girone C della Serie D, la nuova Società Sportiva Dilettantistica Biancoscudati Padova, tuttavia non legata alla storica formazione patavina.

Circa sei anni or sono nel corso di un raduno per istruttori di giovani calciatori svoltosi al Calcio Padova avevamo potuto incontrare il preparatissimo coordinatore del vivaio biancorosso professor Giorgio Molon, a cui avevamo rivolto alcune domande che proviamo in linea di massima a riproporre, stupefatti della loro sorprendente attualità.

Perché, secondo lei una società professionistica dovrebbe investire nel settore giovanile?

“Per una questione di coraggio. Quel coraggio di far esordire i giovani che in Italia non c’è”.

Ritiene che la questione sia complicata?

“Sì è una questione complessa, ma allo stesso tempo anche semplice. È un problema tipicamente italiano, di cultura e politica sportiva e gestionale: in sostanza di credere nel futuro. Nel nostro Paese, purtroppo, la cultura è legata al risultato e non al bel gioco. Uno scenario che, sembra incredibile, parte fin dall’età di 8-9 anni, anche a livelli parrocchiali. Potremmo definirla una cultura da terzo mondo, se non fosse che in quei Paesi la crescita in atto è rapidissima”.

Un problema anche di sistema, quindi?

“Il sistema sportivo italiano si basa sull’associazionismo, sul volontariato. Dovrebbe invece partire, come avviene normalmente all’estero, dalla scuola come punto di riferimento per l’avviamento allo sport. Qui da noi tutte le federazioni negli ultimi 30 anni hanno anticipato l’età di partenza nell’attività sportiva, surrogando un compito che sarebbe della scuola. All’estero tutto ciò è assolutamente normale, da noi no”.

Con quali conseguenze?

“In un sistema basato sulla buona volontà, tanto per restare nel mondo del calcio, la stragrande maggioranza degli operatori gestisce bambini e ragazzi senza avere competenze specifiche. Manca l’ufficializzazione della figura del responsabile del settore giovanile, non esiste un patentino obbligatorio. Siamo a livello di self made man”.

I risultati pertanto rischiano di essere persino controproducenti?

“Certo, questo è uno degli scenari peggiori. Operare sui giovani e con i giovani è materia sensibile, si rischia di far danni. Quando addirittura non si trasmettono valori sbagliati. Le competenze sono fondamentali al pari della condivisione di una diversa cultura sportiva”.

Questo vale ancor di più per il calcio?

“Altro che! A livello di bambini ci dovremmo preoccupare di formazione motoria, tecnica, ma soprattutto del piacere di giocare. Invece si scimmiottano le gare dei grandi, si dà addosso all’arbitro, il ragazzino non può sbagliare, per non parlare dell’invadenza dei genitori. La pratica delle gare assume contorni anomali e spesso fuorvianti proprio per la presenza di tanti adulti. Anni fa anche in Italia era raro il fenomeno del padre (o della madre) tifoso. Le partite dei figli non erano sistematicamente seguite dai genitori. Oggi la pressione sui bambini è enorme. Chi protegge l’attività dai 5 ai 13 anni?”.

Ma all’estero è poi tanto diverso?

I ragazzini italiani sono ‘analfabeti’ motori rispetto ad altre parti del mondo. Oggi da noi l’apprendimento motorio e del calcio è concentrato quando va bene in 6 ore settimanali, altrove – ma qualche anno fa era così anche da noi – fino a una certa età c’era la pratica del gioco libero e la naturale crescita della motricità. Ad esempio i ragazzini di colore hanno spesso un qualcosa in più, un vissuto che li ha stimolati fisicamente, una quotidianità motoria spontanea che aiuta a crescere. Certo non aiutano la playstation o la televisione, le sedentarietà in generale, la scarsa attività fisica negli orari scolastici”.

Quindi il futuro del calcio italico dal suo punto di vista non è roseo?

“Il settore giovanile è la chiave di volta. Ma è necessario riequilibrare il sistema, superare una serie di norme che favoriscono comportamenti che non tutelano le società. Servono incentivi per lavorare sui giovani. C’è una corsa, anche da parte dei procuratori, ad anticipare gli approcci con le famiglie e le società. I grandi club sono arrivati ad opzionare anche bambini di 9-10 anni. Il limite per il tesseramento vero e proprio è fissato a 14 anni, ma ormai ci si muove prima perché l’acquisizione del giovane deve costare il meno possibile. Non a caso Platini, presidente dell’Uefa, si batte per la tutela dei giovani, per evitare che diventino pacchi postali. E anche la nostra Federazione vigila sui ragazzi provenienti dall’estero”.

Ma dovrebbero esserci regole da rispettare e, soprattutto, tra società dovrebbe prevalere un gentlemen’s agreement per non contendersi i ragazzi: è d’accordo?

“Non c’è più un’etica basata sul rispetto reciproco tra le società da almeno 4-5 stagioni, prevale la strategia d’impresa, il budget. Le norme sui premi di preparazione risalgono a 25 anni fa. Oggi i grandi club prendono i tredicenni non ancora vincolati da società professionistiche minori. È un “prodotto” lavorato, educato, che costa non più di 18 mila euro. Il mercato d’entrata la grande società lo fa con tredicenni che, assieme ai genitori, scelgono il proprio destino a prescindere dal club che li ha cresciuti perché non hanno ancora 14 anni. Io come risposta sul territorio posso solo offrire un settore giovanile valido, un servizio gratificante anche sotto il profilo della crescita umana”.

Forse i genitori “investono” sui figli con altre aspettative?

“Torniamo al discorso iniziale, è un colossale problema culturale che riguarda tutti, anche a livello dirigenziale. Spesso l’allenatore anche nelle giovanili è succube di una valutazione legata soltanto al risultato sul campo, quando nell’attività di base bisogna dare i rudimenti della pratica sportiva”.

Insomma, senza settori giovanili strutturati il futuro del nostro calcio si preannuncia nebuloso?

“Bisognerà cercare di valorizzare il ‘prodotto interno’, creare i presupposti per rilanciare i settori giovanili con garanzie precise, interrogarsi sulle politiche più idonee. In Francia, ad esempio, per i ragazzini tra i 9 ed i 14 anni, hanno creato dei Centri di Formazione. L’importante è non perdere terreno rispetto a un mondo che corre, e convincere con validi argomenti le società che il settore giovanile può essere la valida risposta alternativa alle follie di mercato. Ripeto, serve il coraggio di far esordire i giovani”.

Questo in sintesi era il “Molon-pensiero” in allora e come riscontrabile anticipava e prevedeva con una certa precisione quanto in realtà sta accadendo oggi.

Verso la metà di luglio 2014, nel pieno di un’estate particolarmente agitata per le sorti del calcio padovano, il prof. Molon incalzato dalla stampa locale rispondeva così a chi gli chiedeva notizie sul destino del settore giovanile biancoscudato: “Mi sono sentito telefonicamente con il presidente Diego Penocchio e mi ha detto che l’intento della società riguardo al settore giovanile è quello espresso nei vari comunicati stampa, nelle forme e nei modi che si cercheranno di mettere a punto. Penso che la prossima settimana mi confronterò e capirò. Come è noto a tutti, Penocchio ha dichiarato che per salvaguardare il patrimonio del settore giovanile, almeno per il momento l’attività proseguirà. Vorrei ricordare che attorno al vivaio gravitano con vari incarichi una settantina di persone”.

Lo stesso rispondeva a chi gli chiedeva: ma lei resterà?

“La situazione di queste ultime ore hanno fatto cambiare tutte le dinamiche, nonostante avessi preso altri impegni. Già la retrocessione aveva comportato una ridefinizione delle attività dato che non si potevamo più fare certi campionati che erano una vetrina per i ragazzi, e alla luce della mancata iscrizione si sono determinate una serie di dinamiche diverse. Non sono in grado di dire nulla fino a che non mi sarò confrontato con il presidente”,

Cosa si sente di aggiungere?

“Avevo dato la mia disponibilità per ciò che mi lega ai ragazzi, alle famiglie e ai collaboratori. Il Padova è una squadra di lavoro importante che si è creata negli anni con molte energie, e in questo momento a molti stanno a cuore le sorti del club: ho ricevuto tantissime telefonate di solidarietà, sono rimasti tutti sorpresi. Fino poco tempo fa c’era la convinzione che l’iscrizione fosse fatta. Adesso bisogna guardare la realtà e studiare ciò che si può fare. Di sicuro il Padova non può morire, per tutti è una culla calcistica nella quale si muoverà qualcosa in un verso o nell’altro. Le progettualità verranno fuori nei prossimi giorni. Ma fino a quando non avrò un confronto, non so cosa può succedere”.

Intanto, gli altri club sono già a caccia dei baby talenti biancoscudati: come si può fermare l’esodo dei vostri talenti?

“Ci sono molte società che hanno già contattato i nostri ragazzi, ma è normale perché è un mondo che va così. Le risorse umane del Padova fanno gola a tante società, non solo a quelle più vicine. Se siamo tra i primi quindici in Italia, c’è un motivo”.

Lasciammo il centro sportivo “Memo Geremia” con questa situazione di difficoltà da cui il prof. Molon cercava di uscire nel tentativo di dare continuità ad un progetto a cui stava lavorando insieme al suo staff da diversi anni ottenendo fra l’altro ottimi risultati. In tempi di (magre) soddisfazioni per il Padova, come quelli descritti, al pari di una magra soddisfazione era costituita dall’arrivo di buona notizia che giungeva a gratificare il grande lavoro di Giorgio Molon, responsabile del settore giovanile della società patavina dal lontano 2004.

Nel Consiglio di Lega, che aveva preceduto l’assemblea dei 22 club cadetti, svoltosi il 16 luglio al Coni di Roma, Gianluca Sottovia, consigliere con delega per la parte amministrativa, era infatti riuscito a far votare il nome del tecnico biancoscudato quale rappresentante della Serie B nella commissione che si sarebbe occupata dello sviluppo dei vivai e che fa parte del Settore Giovanile e Scolastico a Coverciano. La nomina risultava estremamente significativa perché a Molon veniva chiesto di rimpiazzare un vero scopritore di talenti quale l’atalantino Fermo Favini, che ha lanciato decine e decine di giovani nel firmamento del calcio italiano, e che, con gli orobici in A da due stagioni, non poteva più ricoprire quella carica.


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